Project Management nel settore no profit – intervista a Marta Binaghi

Data : 04/02/2021| Categoria: Consigli ed interviste| Tags:

Qual è il tuo ruolo e di cosa ti occupi nello specifico?

Collaboro come volontaria con l’associazione Kibarè Onlus dal 2014, anno in cui ho partecipato a una missione in Burkina Faso durante la quale ho potuto incontrare il bambino che sostenevo già da alcuni anni tramite un sostegno a distanza. Mi sono resa conto di quanti diritti si diano per scontato in Italia, come la salute e l’istruzione, e di come sia necessario impegnarsi in prima persona affinché possano davvero diventare diritti universali.

La nostra associazione è piccola, quindi i volontari devono necessariamente essere versatili! Finora mi sono occupata soprattutto della parte grafica ma ho sempre aiutato in occasione di campagne di raccolta fondi destinate principalmente a far conoscere l’associazione a livello locale.

Come il Project Management può migliorare le attività di una organizzazione all’interno del settore no profit? Hai uno use case in particolare di cui vorresti parlarci?

Come detto, finora abbiamo realizzato i nostri progetti (solo per citarne alcuni: un centro nutrizionale, delle scuole di cui una finalizzata all’educazione integrata tra bambini normodotati e con disabilità) grazie alle donazioni dei nostri sostenitori, privati e aziende, tra cui QRP. Avremmo sempre voluto partecipare a qualche bando destinato alle organizzazioni senza finalità di lucro per progetti di cooperazione internazionale ma, sinceramente, nessuno di noi aveva la formazione necessaria per presentare una richiesta di finanziamento convincente.

Grazie al corso PRINCE2 donatoci da QRP a cui ho preso parte lo scorso dicembre, abbiamo ora le competenze per stendere un progetto completo e solido, in grado non solo di convincere investitori istituzionali a sostenere l’attività di Kibarè Onlus, ma che ci aiuti anche a monitorare in modo puntuale ed efficiente i progressi fatti, in modo da gestire prontamente le richieste di cambiamento e gli imprevisti che immancabilmente dobbiamo fronteggiare in un contesto così instabile e diverso dal nostro come quello africano.

Penso che in qualche modo il Project Management possa rappresentare il compromesso vincente tra la concezione monolitica che abbiamo noi dell’intervento dall’Italia e l’approccio decisionale giorno per giorno dei nostri partner locali in Burkina. Abbiamo appena iniziato il nostro nuovo progetto, un asilo in una cava nella periferia della capitale Ouagadougou, dove i bambini possano essere curati mentre le mamme sono impegnate nell’attività estrattiva, e spero di poter mettere in pratica in concreto almeno alcuni dei principi guida che mi sono stati trasmessi dal corso e che ho già condiviso con il consiglio direttivo di Kibarè.

Quali sono le più grandi sfide per un Project Manager che lavora nel tuo settore?

Penso che la più grande difficoltà sia colmare la distanza (non solo fisica ma soprattutto culturale) tra il nostro paese e il paese estero in cui si sta intervenendo. Si danno sempre per scontato tanti aspetti procedurali, alcune richieste sembrano di sicuro bizzarre ai partner locali, mentre di contro noi sottovalutiamo gli ostacoli presenti sul territorio (mancanza di infrastrutture, burocrazia..). Reperire la documentazione necessaria può essere un’odissea e le risorse (specialmente umane) per portare a termine con successo un progetto sono più scarse di quanto si creda.

Ci è già successo, come associazione, di avviare un progetto ambizioso e di doverci fermare non per la mancanza di finanziamenti ma perché ci siamo resi conto, per fortuna in tempo, che il partner locale non avrebbe potuto gestire correttamente la complessità dell’intervento. Ritornando quindi alla domanda iniziale, potrei rispondere che la più grande sfida per un Project Manager attivo nella cooperazione internazionale sia stabilire se un progetto sia fattibile e monitorare che resti tale.

Quali skill pensi siano fondamentali per un Project Manager nel settore no profit?

Credo che il profilo del Project Manager sia multidisciplinare per natura; tuttavia, ci sono tre abilità che a mio avviso sono fondamentali per avere successo nella gestione di un progetto no profit: l’ascolto, l’organizzazione del team e il coraggio.

La capacità di ascolto è cruciale per anticipare rischi e opportunità nel contesto incerto in cui spesso operano le organizzazioni no-profit. La cooperazione internazionale mette in contatto mondi differenti come l’Africa e l’Europa; la distanza geografica ma soprattutto culturale richiede estrema attenzione a qualsiasi segnale da parte degli stakeholders che permetta di prevenire, e almeno risolvere tempestivamente, gli incidenti di percorso.

Gli enti no-profit operano frequentemente con un’organizzazione ibrida, che unisce personale retribuito e volontari. Mentre il personale retribuito ha di norma un ruolo chiaro nell’organizzazione, è fondamentale che il project manager valorizzi i volontari assegnandogli responsabilità chiare, seppur coerenti con la loro disponibilità di tempo e i loro interessi.

Ho già citato prima la decisione dolorosa di accantonare un progetto ambizioso. Nel contesto mutevole del no-profit, il project manager deve costantemente monitorare i benefici attesi del progetto e la sua probabilità di riuscita, dimostrando il coraggio necessario per mettere in discussione la prosecuzione del progetto, qualora lo sviluppo di questi indicatori lo richieda.

Marta Binaghi

Marta Binaghi collabora con diverse associazioni di volontariato attive sia in ambito nazionale che internazionale. Ha vissuto a lungo in Germania dove ha conseguito un dottorato in architettura presso la Technische Universität di Monaco di Baviera. E’ certificata
PRINCE2 Foundation.

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